I ‘fatti di Foggia’

Oggi vorrei parlare dei ‘fatti di Foggia’. Da tifoso del Foggia, mi sento in obbligo di dire quello che penso. Visto che tutta la stampa ha espresso la sua opinione in merito demonizzando l’accaduto ma senza spiegarlo.
La premessa è che io sono contro ogni forma di violenza. Sono cattolico e i miei modelli di riferimento sono Gesù Cristo e San Francesco, per cui non posso che condannare fermamente quanto successo sabato. Tuttavia, non basta dire che gli ultras sono il marcio nel calcio e che senza di loro tutto sarebbe molto meglio. Le contrapposizioni manichee non rispecchiano la realtà: non esiste il bene e il male ma sfumature di bene e sfumature di male.

 

 

Per spiegare quanto successo a Foggia bisogna partire da un concetto molto semplice che, fino a quando verrà negato, non potrà mai essere capito. Il calcio non è ‘solo un sport‘, come si legge spessissimo nei commenti a fatti di questo genere. Chi lo scrive è poco intelligente perché non comprende la realtà che lo circonda. Come tantissimo studi hanno dimostrato, tifare una squadra di calcio è innanzitutto una questione di identità. Cito ad esempio il volume edito da Adam Brown Fanatics! Power, Identity & Fandom in Football, ma la lista di articoli accademici e libri è più lunga. Il tifoso si identifica nella sua squadra di calcio, è una estensione del suo essere.
Con questa premessa, è ovvio che, in posti in cui la realtà sociale della quotidianità è amara, l’importanza della squadra di calcio cresce a dismisura. Questo spiega perché le curve più calde del mondo si trovano in Argentina, in Brasile, in Grecia, in Turchia, in Serbia. E spiega perché, ad esempio, in Germania una delle più coreografiche è nella città operaia di Dortmund.

 
L’equazione è quasi infallibile, e a volte porta con sé una dose di violenza. Di solito a questo punto, in Italia, parlando di violenza e tifosi, si tira in ballo la questione hooligans: ‘eh ma in Inghilterra hanno risolto il problema degli hooligans, con pene certe e processi per direttissima!’. Io, in Inghilterra, ci vivo. Potrei citare gli scontri di questo stesso weekend tra tifosi dell’Arsenal e del Tottenham, ma sarebbe troppo facile. Voglio andare alla radice di quella che è stata la soluzione inglese, altro che pene e processi.
Qui allo stadio ci va e ci può andare solo chi ha i soldi, ossia quelli che nella nostra società consumista hanno meno di cui lamentarsi. Io ho vissuto in una città inglese con diversi problemi sociali, tra i quali morti ammazzati proprio come nella nostra Italia: Salford. Affianco a Salford c’è Manchester, ma soprattutto c’è Trafford, casa dello stadio dello United. E chi va a vedere lo United? I ragazzi che spacciano e che prendono 300 £ al mese di ‘benefits’? No di certo. Un abbonamento costa, per un adulto di 21 anni, 722£. Al ‘Theatre of Dreams ci va soprattutto la middle-class inglese. Credo sia inutile dilungarsi sulla questione prezzi in Inghilterra, perché se seguite un po’ il calcio sapete che proprio quest’anno ci sono state varie iniziative da parte dei tifosi per lamentarsene. Un esempio su tutti? Il walk-out dei tifosi del Liverpool al 77esimo minuto della partita contro il Sunderland al grido di ‘You greedy bastards, enough is enough’ (‘voi tirchi bastardi, quel che è troppo è troppo’), con la squadra sul 2-0 e che in quei tredici minuti viene ‘romanticamente’ raggiunta sul 2-2. Romanticamente perché senza tifosi il calcio non esiste.
Ma torniamo a Foggia. Per fortuna, lì i prezzi sono ancora popolari. Dieci euro per una curva. E i tifosi ci vanno a vedere quella estensione rossonera del loro essere. In una piazza come questa, i giocatori dovrebbero essere messi al corrente che far parte di una squadra di calcio è una responsabilità sociale. Ma, si potrebbe obiettare, è perverso chiedere ad una squadra di vincere sempre: è uno sport, la vittoria non si può garantire, la palla è tonda, che colpa ne ha un calciatore. È vero. Se si chiedesse la vittoria a tutti i costi ogni domenica sarebbe come chiedere, come souvenir, la luna.
Ma il punto è proprio questo. In queste piazze non si chiede la vittoria ma l’impegno. Si chiede che i giocatori lottino su ogni pallone. Non si vuole vincere il campionato a tutti i costi. Vogliono poter dire ‘ci abbiamo provato in TUTTI i modi e non ci siamo riusciti, non fa niente, ci riproveremo l’anno prossimo’. Per questo motivo, sabato, i tifosi non sono andati a fermare il bus che ritornava da una trasferta persa tre a zero. Sono andati a fermare un bus che ha perso 3 a 0 senza lottare, come non ha lottato in diverse altre partite in questa stagione, disattendendo quella responsabilità sociale di cui avrebbero dovuto essere al corrente.
Cosa vuol dire chiedere ‘impegno’ senza scadere nell’approssimazione? Alla fine per impegno ognuno può intendere quello che vuole. Beh, mi faccio portavoce dei tifosi, forse senza diritto. Per impegno si intende innanzitutto onestà: per cui, non vendersi le partite come troppo spesso succede nel calcio. Per impegno si intende spirito di sacrificio per il bene della squadra e non individuale: per cui, se puoi segnare ma hai un compagno di squadra meglio piazzato di te gli dai la palla. Per impegno si intende lottare fisicamente su ogni pallone: per cui, se la condizione fisica della squadra non lo permette, che si abbia l’onestà intellettuale di dirlo; se invece lo permette, e non si lotta, vuol dire che non si vuole lottare. E questo non è accettato dai tifosi.
Per impegno, infine, si intende avere un’etica del lavoro anche ‘solo’ per giustificare quei soldi mensili che decuplicano i salari di quei tifosi che si sgolano dalla curva. Su questo discorso vale la pena dilungarsi un attimo. È giusto che un tifoso chieda ad un calciatore di non postare l’immagine di sé stesso, con ritratto da ciò che comunemente di definisce ‘bimbominkia’, il giorno prima di una partita? Non credo sia giusto, perché si limiterebbe la libertà di una persona. Il fatto è che quella persona, in quella squadra-estensione-dell’identità-di-una-piazza-che-soffre-tutti-i-giorni, non dovrebbe esserci mai stata. È la società a dover imporre delle regole o a dover evitare che determinate persone firmino con queste squadre.
C’è stato un pre-Beckham e un post-Beckham. Il tifoso vero apprezza il calciatore pre-Beckham, quello sudore e terra. E lo fa perché quella è la vera estensione di sé. Il calciatore post-Beckham, invece, sul calcio d’angolo si sistema i capelli o il pantaloncino. E questo non è accettabile perché la prossemica è importante per un tifoso vero. Perché questi gesti sono in contrasto con i valori di persone che il giorno dopo devono far indossare al proprio figlio una maglia di due taglie più grande. Che lo si scriva nei contratti di chi va a giocare in certe piazze.
Inoltre, mentre di Beckham ce n’è uno solo, perché lui arrivò a quei livelli mediatici senza i social network, oggi tutti i calciatori possono essere Beckham perché, per avere quella attenzione mediatica non devono essere i numeri 7 del Manchester United, ma solo dei ragazzini con uno smartphone e un borsone con un nome qualunque di una squadra sopra. Tutto ciò è abbastanza evidente, ma se vi servissero prove di come si imita la moda dei campioni, pensate a quanti giocatori di Serie C di 20 anni vanno negli spogliatoi con delle cuffie enormi di marca solamente per imitare i ‘grandi’ e le riprese che di solito ci vengono offerte dai vari tunnel degli stadi. Oppure pensate alla mediaticità di un calciatore che in sala stampa offende il giornalista di una squadra rivale e che, con un paio di frasi, ‘conquista’ l’Italia senza aver mai dimostrato nulla sul terreno verde.

 

 

Questo intervento non è un ‘condanno MA…’. La mia disapprovazione per quello che hanno fatto i tifosi del Foggia è severa e mi auguro che vengano presi e puniti per quanto fatto. Queste parole sono solo atte a restituire, a chi legge, un altro punto di vista. A dire una volta per tutte che il calcio in alcune piazze NON è solo uno sport e per ripartire da una discussione che tenga in conto la realtà dei fatti. Perché si smetta di inventare la presenza di mazze e spranghe in mano a dei tifosi quando questi si chiamano ultras. E perché si sottolinei che quegli stessi giornalisti che condannano i ‘fatti di Foggia’ campano proprio di quegli eccessi calcistici e li nutrono quotidianamente, restando inoltre in superficie con le loro analisi populiste.

Boss2111, utente forum Quelli Che Il Foggia

Un pensiero su “I ‘fatti di Foggia’

Lascia un commento